Barche del Lemano |
Qui, sulle rive del lago,
nella amena regione dei vigneti, una volta furono costruite delle fortezze
spaventose, dei potenti eserciti, delle navi provviste di cannoni, di rostri
d’abbordaggio e clave piombate.
Castello di Chillon
litografia antica
anonima
Ma molto tempo è passato, le
mura delle fortezze inespugnabili si sono coperte di edera, i gerani hanno
invaso le finestre delle caserme, le navi da guerra ormai inutili, sono marcite
nei porti e il ricordo di questo
grande miscuglio di cattiveria umana è svanito.
Ne resta pertanto qualche
traccia, annotazioni in vecchi registri contabili dell’amministrazione. In
particolare quelli della cancelleria di Chillon che risalgono al XIIIesimo
secolo. Questi documenti sono ancora oggi accuratamente conservati negli archivi
della città di Torino dove hanno seguito i duchi di Savoia nella loro lenta
ascesa al trono d’Italia.
Perduto in qualche parte,
fra tante venerabili addizioni, si trova il primo accenno scritto a proposito di
un battello che avrebbe navigato sul lago Lemano.
L’imbarcazione di svago del
Conte e castellano di Chillon.
Si narra che egli “si mise
in una barca e prese il vento sul lago” Una trentina di anni prima del
giuramento di Grütli, il conte ordinò di tirare la sua barca a riva e di
ripararla. Qualche settimana dopo, il contabile del castello annotava, a penna
d’oca, con una bella scrittura che il prezzo dei chiodi, della verniciatura e
impeciatura dell’imbarcazione ammontava a quattro libre e nove
denari.
Senza saperlo, il brav’uomo
stava scrivendo proprio l’inizio della gloriosa storia dei Vascelli del Lemano
!
Questa storia fu
straordinaria. Lo si sa perché oramai l’amministrazione del castello, prese
l’abitudine di annotare tutti i fatti e misfatti del piccolo mondo di marinai,
carpentieri e castellani occupati a creare una flotta savoiarda da guerra sulle
rive del lago .
Una vera
armata!
Numerose decine di battelli
di cui il più grande aveva bisogno di un equipaggio di due o trecento
marinai.
La prima di queste grandi
imbarcazioni fu varata nel 1287. Era una galea, probabilmente simile a quelle
che combattevano nel Mediterraneo a quel tempo. Un lungo scafo affusolato come
una spada e, sul davanti, un potente sperone per sbudellare i battelli
avversari, scagliandosi a tutti remi sul fianco; dietro una cabina per
proteggere gli ufficiali.
Una galea del Lemano
disegno
di O.Gonet
Gli architetti, venuti
specialmente da Genova, per dirigere il cantiere, furono probabilmente
spaventati dai rigori dell’inverno del Lemano per cui istallarono dei caminetti
per scaldare le cabine del battello.
I soldati stavano a prua.
Dietro loro, una lunga passerella separava le file di rematori: il ritmo della
frusta degli aguzzini stimolava lo zelo della ciurma.
Allorquando il vento era
favorevole, si issavano le vele latine: Due grandi triangoli fregiati delle armi
dei Savoia, la mezzana ed il trinchetto. Il contabile del castello di Chillon ha
annotato che ci vollero ben duecento “aulnes” di stoffa per confezionare queste
ali. (quasi trecento metri quadrati)
E questa meravigliosa galea
del Lemano fu solo la prima di una serie di navi ancor più
straordinarie.
La più grande fu varata
verso il l’anno 1300. Questa poteva portare fino a trecentottanta marinai. Non
solo rematori, ma anche arcieri, soldati e ufficiali che vivevano a bordo con
tutti i loro domestici. E quando questi enormi bastimenti prendevano il largo,
c’era quasi sempre, a scorta, una schiera di navi più
piccole.
Vi immaginate lo spettacolo
grandioso e alquanto comico della flotta savoiarda che veleggia al largo della
nostra amena costa? Sovraccarica di
vessilli, brulicante di soldati, scintillante delle armature dei signori… il
ritmo pesante dei remi , gli ordini dei sottufficiali...al largo di Morges,
Rolle o Nyon che non erano allora che poveri, piccoli borghi agricoli,
picchiettati da pollai.
Non potendosi illustrare in
vere battaglie navali: le galee savoiarde si dedicavano a saccheggiare città e
villaggi dove depredavano i pacifici battelli mercantili.
Questo fino al
1343.
Perché in quell’anno la
collera degli Dei si riversò improvvisamente sul capo di questi
malvagi.
In una bella mattina di
primavera, un incendio divampa in una vecchia casa di Villeneuve. In pochi
istanti si propaga, attraverso la strada, a tutto il quartiere. La gente corre
in tutte le direzioni, grida, s’affolla.
Il “foehn”(vento caldo e
violento) si solleva, metà città brucia.
Un enorme fumo nero, carico di tizzoni ardenti è ora sospeso sulla rada dove si trovano tutti i battelli della flotta. In pochi istanti essi prendono fuoco, ed una indescrivibile confusione di navi, di remi e di relitti invade le rive del lago.
Una sola galea riuscirà a scampare a quell’incendio. Essa si lancerà, attraverso le fiamme spinta dal vento e dalle onde. Ma il fuoco ha raggiunto il ponte malgrado gli sforzi dei marinai, ed è come un legno fumante che finalmente getta l’ancora al riparo del castello di Chillon.
Un'altra galea
disegno di O.Gonet
Saranno necessari due anni
di lavoro e sessantamila chiodi per ripararla! Questo è per lo meno ciò che
è scritto nei libri di
contabilità.
Tutti gli altri battelli
affondarono. L’impresa che oggi utilizza la ghiaia del delta del Rodano ritrova
qualche volta dei rottami calcificati: qualche tavola, un pezzo di chiglia.
Prova che i relitti sono ancora là, affondati nella massa di ghiaia, ma ben
furbo chi saprà trovarli ed estrarli senza romperli.
Dopo questa catastrofe, i
cantieri navali furono totalmente ricostruiti, ma ci vollero dieci anni di
lavoro.
Tutto ciò è segnato nei libri contabili del castello
di Chillon . Senza volerlo probabilmente, il nostro vecchio amico contabile
descrisse il tran-tran quotidiano della vita militare del Medio-Evo con le
parole, le espressioni dell’epoca.
All’origine molti termini
tecnici utilizzati sui battelli del Lemano erano stati portati dagli operai
genovesi che lavoravano nei cantieri savoiardi. Ma con il tempo, dal tono delle
pagine del libro, si sente che si addolcisce graziosamente di un antichissimo
accento valdese. Così, le “garcettes de ris”, che consistono in cordame utilizzato per diminuire la velatura
quando il vento si rinforza, si chiamavano in italiano dell’epoca, i “metafioni”
divennero “metafions”e poi “metafis”. Ancora più interessante è l’evoluzione
della parola “peguola”. In italiano indica il barile che contiene il catrame che
serve a calafatare lo scafo. Sulla riva del lago si trasforma in “pègue” e poi,
più semplicemente, in “pèdze”. Quel catrame che impecia le dita! I Valdesi riconosceranno bene un termine
utilizzato ancora oggi di cui il significato non è per niente
cambiato.
Disgraziatamente quei meravigliosi libri di contabilità si fermano al 1352. I volumi più recenti sono scomparsi e, a partire da quella data, l’oblio avvolge più o meno la vita dei marinai d’acqua dolce ed i loro superbi battelli. Un oblio che dura fino all’invasione bernese “del Pais de Vaud” a metà del secolo XVI esimo .
Dopo due secoli velati di
mistero, la flotta savoiarda riappare allora fugacemente, ma per l’ultima
volta.
In questo momento della
storia politica delle sponde del Lemano, i ginevrini si considerarono
pericolosamente circondati dalle armate del loro vicino, il Duca di Savoia. Il
Consiglio della città decise dunque di chiedere aiuto ai cari concittadini di
Berna, i quali, ben felici all’idea di ingrandirsi verso il Sud, si prepararono
subito ad invadere i territori ducali.
L’armata di Berna si mette
in moto al ritmo delicato delle sue marce militari. C’è qualche cannone, qualche
ordigno di assedio e soprattutto una lunga fila di carri vuoti destinati a
riportare il bottino.
Si tratta, soprattutto, di
non sprecare nulla!
I bravi cittadini
valdesi, il berretto spinto
indietro con un colpo di pollice, una pagliuzza a metà masticata appesa
all’angolo della bocca, guardavano
passare i soldati senza fiatare.
Uno dei pochi luoghi dove si
è manifestata una qualche resistenza è il castello di Chillon, difeso fra le
altre, da una ultima e vecchia galea.
Di fronte a questa
difficoltá imprevista, lo stato-maggiore di Berna, non amando il rischio, sollecita l’aiuto
dei ginevrini. Questi la accordano con entusiasmo .
Ginevra riunisce tutti gli
avventurieri che riesce a trovare e
li imbarca su una flottiglia improvvisata. Erano quattro pesanti navi armate di cannoni e
due grandi barconi caricati di balle di lana, nella speranza, un po’ ingenua che
potessero servire da riparo galleggiante contro l’artiglieria del
castello.
A vele spiegate, tutti i
remi in acqua, la flotta si scaglia attraverso il lago per“attaccare Chillon.”
E’ l’ora della vendetta e lo si grida forte a Ginevra. Si alza il pugno fermo
verso l’orizzonte. Il sangue scorrerà sicuramente a fiumi.
Appena arrivati la battaglia
s’accende. Un consistente bombardamento per cominciare. E mentre il fumo dei
cannoni si alza sopra i pioppi delle sponde, ci si prepara
all’attacco.
Ma il comandante del
castello, Antoine de Beaufort, non ha per nulla intenzione di porre resistenza.
Egli non dispone che di una debole
guarnigione: alcuni italiani, un pugno di valdesi sparpagliati dietro le
numerose saettiere lungo il cammino di ronda. Malauguratamente l’armata di Berna
non ha una buonissima reputazione. Una resa pura e semplice avrebbe attirato
delle rappresaglie soprattutto contro i valdesi restati fedeli al duca di
Savoia.
Allora, per guadagnare
tempo, Beaufort finge una sorta di negoziazione. A gran voce, sopra le mura,
egli finge di voler patteggiare. I ginevrini, come sempre sboccati, rispondono
gridando insulti. Un po’ ci si ascoltava, si mercanteggiava, si parlava di
garanzie. A momenti si stizziscono, paonazzi, dopo si riconciliano con dignità.
Si torna a minacciare, qualcuno si affaccia ad una finestra per insultare gli
assedianti che rispondono con parole indignate...E durante questa commedia, al
riparo delle mura, i soldati savoiardi si affrettano a caricare su l’ultima
vecchia galea: gli archivi, l’oro, gli impiegati,
l’artiglieria.
All’improvviso le finestre del castello si chiudono sul naso dei ginevrini, e la galea, tutti stendardi al vento, si slancia per l’ultima volta in piena luce sul Lago.
Galea secondo P.Breugel
particolare
Alla potente cadenza dei remi ella attraverserà la flotta nemica e si avvierà verso il largo.
I ginevrini non trovano che cenere e
fumo.
Forse sulla riva, una
vecchia scopava tranquillamente davanti alla sua porta, forse era un po’ sorda,
aveva la vista debole, non notò nulla. Ed è così che è finito il tempo delle
galee savoiarde. Non si ammireranno mai più dei così begli uccelli da guerra e
di prestigio sul lago
Lemano.
* * *
Una volta conquistato il
castello di Chillon, le truppe di Berna contornarono il lago Lemano e si
impadronirono di tutto il Chablais savoiardo.
Vi rimasero per trenta anni, fino a che, per ragioni di
alta politica europea, si decise, nel
Cateau-Cambrésis, di restituire al duca di Savoia tutte le proprietà del
Lemano, fatta eccezione della regione di Vaud.
Al di sopra dello specchio
azzurro del lago Lemano, i
savoiardi si ritrovarono dunque di fronte agli alleati bernesi e
ginevrini.
Ma nel giardino dei cavilli,
la fioritura non tarda molto! Ecco ritornato il tempo delle fulminanti
dichiarazioni e delle bricconerie
militari:
Una imbarcazione ginevrina,
carica di grano, viene depredata dai
savoiardi. Per vendicarsi, Ginevra manda tre battelli a saccheggiare La Belotte. Il duca
infuriatissimo fa attaccare una galea che si dirige a Morges.
La panna comincia a
montare!
Il duca ora prepara uno
sbarco nello stesso porto di Ginevra, ma è sorpreso dalla rapidità dei suoi
avversari che si impadroniscono,
per primi, del suo bel castello di Ripaille e per infastidirlo richiudono
a grandi palate, il bel porto che egli aveva fatto costruire proprio davanti
alla sua dimora.
Ritornando alla loro sponda,
i ginevrini approfittano del viaggio per assaltare il Barone d’Hermance. Quest’ultimo aveva avuto l’idea assurda
di comprare qualche decina di schiavi in Turchia e di allestire una piccola
flotta di galee pirata.
Dei pirati Turchi sul nostro bel lago!
L’esperimento non durò a
lungo. Il barone e i suoi schiavi furono definitivamente annientati dai vascelli
da guerra ginevrini.
Ed ecco l’episodio ben noto
del tentativo savoiardo di scalare le mura di cinta di Ginevra: le scodelle di
minestra versate sulla testa dei soldati, la loro fuga indiavolata nella notte.
Insomma, come commenterà il duca stesso: “una bella
stronzata!”
Ora è il turno dei
Ginevrini.
Una delle loro fregate si
lancia verso l’alto Lago. Essa
saccheggia, depreda tutto ciò che galleggia al largo di Chablais e
ritorna con quattordici battelli prigionieri, lasciando dietro di sé una scia di
scafi affondati, naufraghi ed incendi.
Intanto le autorità di Berna
si maceravano nella riflessione!
E’ che le Loro Eccellenze
sono tormentate da un gusto eccessivo per l’economia. A Berna si amano le
piccole astuzie che schivano la
spesa, le piccole meschinerie che permettono di far pagare gli altri.
Finché, finalmente, e davanti alla
gravità degli avvenimenti, si rassegnano alla costruzione di qualche vascello da
difesa. Decidono che i boscaioli devono abbattere quattro cento querce e trenta
alberi di noce a spese della città di Nyon e che sarebbero stati i fabbri di
Vallorbe a fabbricare i chiodi.
Restava da trovare
l’inevitabile specialista italiano
in costruzioni navali. Si cerca ovunque e si finisce col trovare un
individuo che sconta una pena in fondo alle prigioni di Ginevra. E’ un uomo di
mestiere e per di più non costa niente farlo liberare. L’amministrazione poi
segnala che un carpentiere di barche, un certo Vincenzo Quagliato, sollecita la
sua ammissione alla borghesia. Riuscirono ad assumerlo gratuitamente
esonerandolo dai quattro scudi necessari per accedere alla sua
richiesta.
Ecco un bel e buon
risparmio!
Ma rimanevano da costruire i
battelli stessi e perciò bisognava ben rassegnarsi a pagare qualche cosa.
Allora, le Loro Eccellenze, dapprima si scoraggiarono poi proposero ai
ginevrini di completare essi stessi
e soprattutto a loro spese, questo abbozzo di flotta.
In realtà non è che al
momento della battaglia di Villmergen, che gli abitanti di Berna iniziarono seriamente la costruzione
della flotta.
E’ che a questo punto la
situazione politica si è particolarmente deteriorata: la Francia minaccia
direttamente Berna, la Savoia fa finta di dar appoggio ai cattolici. Non si
tratta più solamente di difendere i piccoli commercianti e i pescatori valdesi
contro la ferocia dei pirati savoiardi, è la Patria stessa che è in
pericolo.
Allora tutte le difficoltà
svaniscono.
Viene dato l’ordine di
mettere in cantiere due veri vascelli da guerra:
“Il Grande ed il Piccolo
Orso” .
Progetto di decorazione per il vascello ARGOS di Pierre
Puget
(disegno su
carta)
Due superbe imbarcazioni di una ventina di metri di
lunghezza, tutte sfavillanti di sculture dorate.
Disgraziatamente sono i
funzionari pubblici di Berna che hanno il compito di controllare tutte le spese
della costruzione, ed essi lavorano con tale lentezza che passano i mesi e poi
gli anni.
Quando tutto è, in fine,
pronto, la pace regna sull’Europa .
Certamente l’entusiasmo per la flotta del Lemano diminuì d’importanza. Presto, si deve mettere fine alle spese. Non si tratta più di pagare la manutenzione dei vascelli. Appena varati sul lago, ancora tutti collanti di pittura fresca, vengono destinati ad imprese private. I gloriosi ornamenti scolpiti non impediranno loro di far carriera nel tranquillo commercio di legname e di vino.
A Ginevra, al contrario, non
si pensa a disarmare: si conosce troppo bene il rischio della competizione con i savoiardi.
Nel 1678, una nuova nave
ammiraglia è varata nella rada: “Le
Soleil”. Una magnifica fregata, anch’essa
brillantemente decorata.
Avrà a bordo un centinaio di
marinai e di ufficiali fra i quali un chirurgo e un pastore!
* *
*
A distanza di qualche secolo
è curioso esaminare le cattiverie, le meschinità degli uomini che si sono
susseguiti nello scenario maestoso del gran Lago. Ma non bisogna esagerarne le
conseguenze. Non si ebbero né massacri, né grandi battaglie. La superiore
volontà dei capitani non ha mai importunato gravemente né i pescatori né i
proprietari dei pescherecci. Dietro
un bonario dialetto essi nascondevano uno spirito di ironia che ha loro permesso
sempre di non cadere negli eccessi.
Le ultime costruzioni militari sul Lemano
disegno di O.Gonet
L'autore avrebbe molto piacere a leggere i vostri commentari, critiche o suggestioni (e-mai: ogonet@ctv.es ). Vi assicuro che vi risponderà personalmente.
Barche del Lemano |